Rio-Giorno 6
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Deodoro è un quartiere alla periferia ovest di Rio, dove per periferia parliamo di almeno tre ore di bus dal centro. Dal mio hotel ce ne vogliono solo due, passando obbligatoriamente dal Media Transport Mall, il capolinea dei bus che collegano gli alberghi e i luoghi delle gare al centro stampa. Viaggio lungo attraverso grandi favelas, isolate dalla lunghissima strada Transolimpica dalle solite recinzioni. Spesso la strada sorvola letteralmente le case diroccate.

Gente del posto mi ha raccontato una cosa sulle favelas, la riporto così, senza sapere se è vera o no: gli interventi di risanamento vengono vanificati dalla stessa popolazione, che sulle case misere non paga le tasse. Laddove sono stati costruiti nuovi edifici, la gente ha realizzato baracche negli spazi liberi, dove continuare a vivere. Sospetto che non sia del tutto vero, ma per adesso non ho potuto toccare con mano.

Deodoro, dicevo. Più che un quartiere, una maxi installazione militare con 60mila addetti. Ogni 50 metri un posto di blocco con una decina di soldati armati fino ai denti. Ovunque caserme, ospedali militari, accademie. Una vera e propria cittadella. Anche il centro equestre è roba loro. È evidente che per loro subire un attacco terroristico proprio qui sarebbe uno smacco incancellabile, da qui l’incredibile spiegamento di forze.

Il centro ospiterà tra due giorni le gare olimpiche di equitazione. Il campo è splendido, anche nelle infrastrutture. I cavalli impegnati in prove e riscaldamenti non ufficiali sono tra le più belle cose viste finora. A quanto pare avrò anche una commentatrice tecnica d’eccezione, speriamo di poterlo confermare la mattina del 6.

2 commenti

  1. Simone Bonucci

    Ciao Marco,

    leggendo il tuo post mi è subito tornata in mente una recente dichiarazione di Velasco, nella quale, con il suo solito spirito positivo e orientato a cercare sempre il lato migliore delle cose, esprimeva il suo sostegno all’idea che altri paesi sudamericani (oggi il Brasile, ma domani anche altri meno “importanti”…) potessero avere la possibilità di organizzare un’olimpiade.

    Naturalmente, il concetto che faceva emergere e cercava di condividere, era quello dell’opportunità e forse anche dell’orgoglio. Vedersi affidare i Giochi significa (o dovrebbe significare) aprire una pagina ricca di possibilità e di sviluppo; in termini occupazionali, sociali e non ultimo di immagine. Fino ad una ventina di anni fa avrei sottoscritto tutto.

    Oggi, sebbene abbia una stima infinita di Velasco, della sua intelligenza e per la sua storia, mi sono trovato a maturare un’idea diversa. Ovvero, per organizzare le olimpiadi, o eventi di livello planetario, serve che un paese abbia già dimostrato di avere capacità organizzative di livello assoluto, sotto tutti i profili. I pericoli legati al durante e soprattutto al dopo l’evento, quando i riflettori saranno spenti, sono forse troppo elevati. Soprattutto in un contesto storico/sociale dove le risorse sono poche e tutto corre troppo velocemente. E dove poi siamo bravissimi a dimenticare. Dove quindi, in buona sostanza, non puoi permetterti di sbagliare.

    Abbandonare il concetto dell’opportunità mi costa una fatica bestiale. Anche perché in quei paesi, dove la povertà è davvero troppo diffusa, vengo ancora contagiato da quei bambini che nel 2016 sanno sognare giocando con un pallone mezzo bucato in una strada polverosa. Loro, l’opportunità, la meritano davvero. Ma alla fine la fredda razionalità mi spinge in un’altra direzione, facendomi sentire un po’ in colpa.

    Tu cosa ne pensi?

    Buon lavoro

    Simone Bonucci

  2. marco

    Sono d’accordo con te. Oggi purtroppo le opportunità sognate da Velasco (e da noi con lui) si declinano esclusivamente come opportunità per gli affaristi di ogni sorta. Meglio allora concentrare gli eventi nei Paesi già solidi, per non beffare le popolazioni che finiscono comunque per rimanere escluse dagli eventi stessi.
    Grazie per il tuo intervento.

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