Tokyo, giorno 6
Tokyo, giorno 6

Tokyo, giorno 6

L’appuntamento con le nostre ragazze all’Ariake Arena è alle 9, ma è il primo giorno, quindi innesto la modalità fine-di-mondo e do appuntamento all’operatore che mi aiuterà nelle interviste alle 6.30. Alle 3.22 ho già gli occhi aperti e fuori dalla finestra c’è luce. La sera prima, tramite l’hotel, ho prenotato un taxi perché a quell’ora le navette per l’IBC non sono ancora in movimento. Non è stato facile, prima perché il servizio, oberato di lavoro, non rispondeva, poi perché l’operazione di prenotazione è durata a lungo, in una sequenza ripetuta di secchi “Hay, hay”, con la h molto aspirata, che credo fossero cenni di conferma. Informiamo la reception di dover andare alla Ariake Arena, cosa che viene riferita alla centrale dei taxi.

L’indomani alle 6.30, puntualissimo, il taxi carica me e l’operatore.

Io (in inglese): “Allora, andiamo all’hotel X (a prendere Giulia)”

Tassista: 級 準

Io: “Qui, dobbiamo andare qui (mostro nome dell’hotel e indirizzo)”

Tassista: 柔道 男

Insomma, c’è voluto un po’ per capire che il tassista sapeva di doverci portare all’Arena e questo cambio di programma non gli piaceva. L’ho rassicurato spiegandogli che DOPO l’hotel saremo andati ad Ariake. L’albergo di Giulia è abbastanza vicino al mio, ma cambia il mondo. Il taxi si infila in stradine che per Tokyo devono essere considerate dei vicoli, viste le dimensioni normali delle vie. Il sabato notte è appena finito e si vede, tra spazzatura, drag queen che rientrano a casa e facce decisamente poco raccomandabili. Preleviamo Giulia e ci indirizziamo verso il palazzetto. A un certo punto lo vedo alla mia sinistra. Il taxi svolta a destra. “Mi sarò sbagliato”, dico ai miei compagni di viaggio. Parcheggiamo, scendiamo e ci incamminiamo per i controlli, oltre i quali c’è ancora strada da fare. Addetti salutano inchinandosi, rispondiamo. I militari passano allo scanner le borse e l’attrezzatura e, come sempre, mi chiedono di bere un sorso dalla borraccia d’acqua che porto con me. Ci fermiamo per un collegamento via Skype per una rubrica poi proseguiamo. La ricerca della postazione dei telecronisti non è facile, tra addetti che solo in rari casi parlano inglese. La dritta giusta (che presto vedremo non sarà tale, ma lei è incolpevole) ci viene data da una ragazza che ci dice di essere stata in Italia una volta. Le chiedo dove, ma subito comincio a snocciolare Roma, Firenze, Venezia, ottenendo suoi entusiastici cenni di conferma. Stavo per dirle Genova per provocarla, ma la modalità fine-di-mondo non prevede l’ironia. Saliamo una scala e finalmente, aprendo una porta, entriamo nella sala vera e propria.

“Marco, abbiamo un problema”, mi dice Giulia

“Ma no, tranquilla, adesso cerco la postazione e…”
“No, Marco, guarda”

Sposto gli occhi sul campo, perfettamente allestito per… il concorso di ginnastica.

Avevo ragione io, il palazzo del volley era quello a sinistra. Ripartiamo, sono le 8 ma il caldo è già atroce. Sudati, finalmente arriviamo al palazzetto giusto. Rifacciamo i controlli, nuovi inchini, nuovo sorso d’acqua dalla borraccia dopo lo scanner. Dentro, il palazzetto è bellissimo, finito l’anno scorso dopo quattro anni di lavoro. Giochi di luce sul campo, poi entrano le ragazze e l’emozione è davvero forte. Giulia è una bambina nel negozio dei dolci. Il resto è cronaca di stamattina con la bella vittoria delle Azzurre. Abbiamo giocato al 60-70%, c’è margine di miglioramento. Anche per i tassisti.

Ah, pare che tra domani e dopodomani arriverà un ciclone tropicale. Stay tuned.

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