Verbose considerazioni in coda a una medaglia d’oro olimpica
Verbose considerazioni in coda a una medaglia d’oro olimpica

Verbose considerazioni in coda a una medaglia d’oro olimpica

“Se questo gruppo si rimette insieme, per l’oro di Parigi ci siamo anche noi”. Questo scrivevo nell’ultimo, ormai lontano, post pubblicato qui. Era una previsione abbastanza facile, lo ammetto, ma sono molto felice di averla azzeccata. Di Velasco abbiamo raccontato tutto nelle settimane francesi, la sua filosofia del Qui e Ora ha fatto breccia nel gruppo, convinto dalla chiarezza e dalla semplicità di un coach che è anche un allenatore di cervelli e non solo di muscoli. Finalmente abbiamo visto esprimersi al livello atteso un collettivo di atlete che ha avuto pochi paragoni nella storia del volley azzurro. Ci manca qualcosa, a livello di palmares: l’oro mondiale e quello degli ultimi Europei sono i primi che mi vengono in mente, ma anche a Tokio avremmo potuto fare di più. Pazienza, giusto non pensare al passato come ci insegna Julio, anche se la tentazione di guardare al futuro, al Mondiale così vicino e per il quale contiamo di recuperare Pietrini, è forte.

Una settimana dopo il trionfo francese è tempo di qualche considerazione personale anche per me, che metto apposta in questo blog semiclandestino e non sui social. È possibile decidere di mettere un punto in carriera pur senza considerarsi appagati e continuando ad avere gli stimoli giusti per il futuro? Sì, credo di sì. Vediamo. Marelli-Circolo Merlino fu il mio primo reportage vagamente somigliante a un prodotto simil-giornalistico. Terza Categoria genovese, anno 1980, XVI dalla nascita. Al ritorno da scuola al sabato mangiavo un boccone veloce e mi addormentavo sul bus che dopo un viaggio infinito mi portava verso sperduti campi di periferia: Sestri Ponente, la Valbisagno. Alcuni di questi campi non esistono più, travolti dallo sviluppo della città. Mi mettevo lì con il mio taccuino e la sera della domenica, dalle generose frequenze di Radio Genova Reporter, snocciolavo il racconto delle azioni più importanti del match. Ero noiosissimo, avevo una vocina da adolescente ancora in via di sviluppo e una sibilante da Gatto Silvestro che avrei corretto negli anni successivi. Il microfono avrebbe preso rapidamente il posto del taccuino, per cominciare a prendere confidenza con la diretta, sempre sotto la guida del mio mentore, il mai abbastanza compianto Dante Battioni. Seguirono anni di crescita costante, radio sempre più importanti fino a Babboleo, eventi sempre più importanti fino alla finale di Coppa dei Campioni Sampdoria-Barcellona. Un mito come Mario Giobbe che mi chiama a Radio Capital dopo aver ascoltato una mia cassetta e una capetta insulsa che mi silura pochi mesi dopo, nonostante un contratto firmato che non ho mai voluto far valere, per fargli la guerra. “Non arriverai mai stabilmente in Rai”, disse. Mesi di disoccupazione e preoccupazione. In contemporanea cresceva l’interesse per la pallavolo, che seguivo da allenatore di provincia.

Le lunghe collaborazioni con Euronews a Lione, i primi contratti di due mesi (a volte una settimana, perché il “titolare” aveva deciso di rientrare anticipatamente dalle ferie, e chissenefrega del “precario di merda”) alla sede regionale Rai di Genova. Il sindacato che mi rimbalzava, la regolarizzazione arrivata solo undici anni dopo. Nel mezzo, e anche dopo, la conduzione del Tg e quella di Buongiorno Regione. Capi improvvisati che si mettevano di traverso, la necessità di fare televisione e la nostalgia della radio. Il passaggio a RaiSport nel 2012, un anno particolarmente significativo per la mia vita, il pendolarismo quotidiano tra Genova e Milano, gli alberghi a mie spese se il giorno dopo capitava di dover prendere un volo presto per andare da qualche parte. Sport. Tutti. Sempre in giro a tappare buchi col sorriso, sempre divertendomi, dal nuoto artistico (all’epoca ancora chiamato sincronizzato) al baseball, dove venni graziato da un temporale. La sveglia alle 3 per seguire l’Eroica di ciclismo in Toscana. La prima Olimpiade, Rio 2016, a seguire l’equitazione per una settimana dopo uno studio folle, per poi essere sostituito senza un motivo editoriale concreto. Gli spazi nel volley rimediati faticosamente, cominciando dalla A2, cercando di superare ostacoli posti da chi voleva difendere rendite di posizione ingiustificate, mentre qualcuno mi definiva “non abbastanza carismatico” per darmi più spazi nello sport preferito. Un’Olimpiade invernale tra sci e slittino. La svolta nel 2019, direzione Bulbarelli, la responsabilità del settore femminile, il primo campionato fermato a metà dalla pandemia. Europei, Mondiali, Tokio, sempre supportato da pochissime persone, una speciale. La famiglia. Finalmente Parigi.

Eccoci al punto, scusate la prolissità che pure in genere non mi appartiene. Questa medaglia d’oro, per la quale ringrazierò per sempre queste straordinarie ragazze, mette un punto. Si può fare altro, non si può fare di meglio. L’affetto sgorgato da migliaia di messaggi nobilita tutto e lo rende ancora più prezioso. Se la mia carriera finisse oggi potrei dire di averla completata, di aver costruito l’edificio della mia vita professionale dalle fondamenta all’attico. Da oggi si continua, certo, mi aspetta la mia prima Paralimpiade e poi ancora campionati, Mondiali, Europei. Ma da adesso in poi è tutta una bonus track. Tutto il passato è scolpito, ha un inizio e una fine. E come dice un proverbio argentino che sicuramente Julio Velasco ama, e che è diventato il mio motto preferito, nadie nos quite lo bailado. Nessuno può toglierci i balli che abbiamo ballato.

2 commenti

  1. Paolo macina

    Fantasia, lei e la pisani siete musica per le orecchie del volley. Tecnicamente preparati, appassionati, mai sopra le righe e mai noiosi.
    Mi raccomando, continuate così PER SEMPRE

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