Questo post era pronto da ieri, poi come spesso mi accade qui sono stato travolto dagli eventi della giornata, da una botta di sonno che mi ha annientato nel tragitto tra l’hotel e il compound televisivo e, alla fine, dalla tremenda delusione rifilataci dalle ragazze. A questo dedicherò un post a parte, che esulerà dalla cronaca di questo viaggio. Mi limito quindi alla cronaca di giornata, una giornata cominciata maledettamente troppo presto. Lo aspettavo dal primo giorno, il terremoto, e lui quando arriva? Nella prima mattina libera da impegni all’alba. Così alle 5 e mezza di ieri mi sono svegliato dondolando, scena ripetuta una decina di minuti dopo. C’è stata una terza scossa, ho letto, ma non l’ho percepita. Un sesto grado, probabilmente in Italia avrebbe fatto crollare qualche calcinaccio, catapultare la gente per strada e collegare il Tg4 in diretta; qui la cosa è passata del tutto inosservata. Io stesso sono rimasto molto tranquillo. Nessun eroismo, ma ero sufficientemente fiducioso nella tenuta antisismica degli edifici di un Paese che convive con questa faccenda da sempre. Però non è mai divertente, diciamo, più che altro per il senso di nausea che mi ha lasciato, lo stesso effetto delle altre rare volte in cui ho avvertito una scossa. L’ultima volta era stato l’anno del brutto terremoto in Emilia, che era stato avvertito anche a Genova.
Ho preparato le ultime cose in vista della partita serale, poi mi sono goduto due passi da uomo quarantena-free a Shinjuku. Goduto è un parolone, vista l’umidità che ti distrugge, ma almeno mi sono finalmente immerso nella Tokyo vera. Mi sono imbucato in due grossi negozi di dischi, dove ho rimediato un vinile di Prince in versione giapponese, una piccola chicca ricordo meglio di tanta paccottiglia. Mi piacerebbe trovare i negozi che vendono la tipica carta giapponese. Ho anche intravisto la famosa gattona virtuale in 3D della quale si è parlato in tutti i siti in questi giorni, ma dovrò tornare in zona per vederla meglio. La zona è quella della stazione di Shinjuku, che risulta essere la più frequentata del mondo, non so quanti milioni di passeggeri all’anno. Quando vedo queste cose ripenso sempre con grande divertimento ai due chilometri della metro di Genova. All’esterno, tra i tanti servizi offerti, un noleggio automatico di ombrelli (quello della foto), che i Giapponesi usano indifferentemente per ripararsi dalla pioggia e dal sole.
Purtroppo i tempi sono stati stretti, sono tornato in hotel attraversando grandi strade con i più importanti marchi della moda mondiale (c’era pure un Intimissimi, toh) e “vicoli”, larghi sei o sette metri, intendiamoci, pieni di piccoli ristoranti per residenti. Un boccone veloce e partenza per il palasport secondo i tempi scanditi dalle navette e dalle distanze. Come ho già detto, a me va abbastanza bene; tre quarti d’ora per raggiungere il compound e altri venti per il complesso di Ariake, dove si giocano anche beach volley, tennis e skateboard. Dell’ennesima fine brutale del nostro sogno di medaglia olimpica, come detto, parlerò a parte. Stamattina, intanto, nuovo passaggio al beach volley, da ieri sera senza più nemmeno gli uomini, eliminati.
Provare amarezza è comprensibile, però “tremenda delusione rifilataci dalle ragazze” non si può leggere (né sentire). La delusione l’hanno rifilata soprattutto a se stesse, i tanti sacrifici per prepararsi all’appuntamento più importante per qualunque atleta li avevano fatti loro, a noi non dovevano niente. Forse chi ha davvero deluso è Mazzanti, che con un gruppo di un certo livello è stato incapace di fare quello che invece è riuscito a Lavarini con una squadra rispettabilissima, ma certamente non stellare. Sentirlo dichiarare che non sa cosa sia successo a Paola mi ha fatto cadere le braccia e non lascia molto ben sperare per il futuro. Leggerò con interesse il tuo post su questa triste disfatta.
Non condivido la prima parte. L’Italia pallavolistica (e non solo) riponeva grandi speranze su questo gruppo, che secondo me e tanti altri aveva (e avrà a Parigi) le carte in regola per rompere finalmente la “maledizione” olimpica. Sono certo che loro siano le prime a sentirsi mortificate, ma dietro di loro c’è un movimento che le ha spinte ed è rimasto chiaramente deluso dalle controprestazioni viste. Se fosse solo come dici tu le olimpiadi sarebbero un evento chiuso dove gli atleti gareggiano tra di loro, festeggiano e piangono, lontani dagli occhi di cittadini ai quali non importa nulla di loro. Ci sono stati problemi che hanno riguardato le ragazze e la guida tecnica. Proverò a parlarne senza abusare del senno di poi.
Nutrivamo tutti grandi speranze, sarebbe ipocrita negarlo. Hanno sciupato una bella occasione, senza purtroppo giocarsela con la migliore pallavolo di cui sono capaci. Il mio non era assolutamente un tentativo di assolvere le ragazze o di sollevarle interamente dalla responsabilità di quanto accaduto, sia chiaro. Trovo solo che l’espressione che hai usato, e che in questi giorni ho sentito e letto troppo spesso, implichi l’aver subito un tradimento personale, quasi un affronto, da parte degli atleti che non hanno centrato la medaglia (o che l’hanno vinta, ma del metallo sbagliato). La chiudo qui, approfittando per ringraziare te e l’impeccabile Pisani per tutte le piacevoli telecronache dell’ultima stagione.
No comments per le delusioni pallavolistiche, attendo il tuo post a bocce ferme per poi commentare/ragionare lì. Ti ringrazio (ma penso lo siamo in tant*) per il tuo diario di Tokyo.
Sarebbe carino, sempre che il tempo lo permetta, che diventasse una puntata dei tuoi podcast. Lo sarebbe ancora di più con l’aggiunta dei ricordi/impressioni di altri colleghi, Giulia in primis. Questa non è una richiesta però, so bene che ciò comporterebbe un lavoro in più.
Buon rientro e buon riposo.
Era un’espressione che andava interpretata. Tutti noi, addetti ai lavori ma anche appassionati e tifosi della Nazionale, speravamo in un esito diverso e la delusione è stata grande. Ma sono il primo a dire che non bisogna gettare la croce addosso alle ragazze, purché traggano elementi di crescita da questa sfortunata avventura. Grazie e arrivederci agli Europei.
Ti ringrazio. È una buona idea, non so quanto realizzabile per via dei ritmi di lavoro che raramente mi permettono di incrociare altri colleghi in giro. Ho più possibilità, ovviamente, di avvicinare Giulia. Il blog nasce dalla mia voglia di riprendere ad occuparmi di altro che non sia sport, ma forse alla fine dovrò cercare di dargli un indirizzo meno vago. Devo ancora pensarci. Grazie ancora.