Post abbastanza reticente in alcuni suoi passaggi, capirete perché.
Non ci crederete mai. Sono stato abbordato da una volontaria. No, niente di erotico, ma per la prima volta una dei tantissimi e gentilissimi volontari che ovunque ci indirizzano nei luoghi degli eventi non si è limitata a verificare la mia destinazione dal grande hub dei trasporti, davanti all’IBC, dove partono tutti i bus diretti alle venues e agli hotel. Mi ha chiesto da dove venissi e si è entusiasmata perché desidera tanto venire in Italia. Per mangiare la pizza, essenzialmente, dice. Non è stata impiegata a tempo pieno alle olimpiadi, ma solo per tre giorni, durante i quali ha fatto avanti e indietro da casa sua, distante un’ora di treno. Studia Scienze dello Sport.
Stamattina ho speso benissimo mezza giornata di libertà grazie a una pallavolista giapponese amica di Giulia, della quale non farò il nome perché pur di incontrarci ha sfidato le regole della sua società, che le avrebbero impedito di muoversi a Tokyo a causa della pandemia. Ci ha accompagnati prima allo Shinjuku Gyoen National Garden, un ampio parco ricchissimo di vegetazione e di laghetti con grosse tartarughe e carpe di dimensioni mostruose, e dove i prati sono tagliati perfettamente all’inglese. Ci siamo fermati per una limonata buonissima in un chiosco gestito da due vecchietti estremamente simpatici, dove ho trovato anche dei piccoli oggetti regalo davvero originali (non citerò nemmeno questi, ovviamente).
Poi, altro shopping in uno dei negozi ufficiali di Tokyo 2020, dove ogni cosa costa un botto solo per il brand, e soprattutto in un grande magazzino paradiso della cancelleria. E anche qui mi sono dedicato a trovare oggetti tipici della tradizione giapponese (e scusate ancora la reticenza, ma ho bisogno di non rovinare alcune piccole sorprese). Nessuna remora, invece, a parlare del sushi che abbiamo mangiato a pranzo. Ribadisco l’impressione avuta quando lo avevo acquistato al supermercato: a livello di gusto non siamo lontani dall’offerta italiana, spero che anche qui non si adattino a compromessi sulla qualità del prodotto. Non era un all-you-can-eat, comunque, l’ordinazione andava fatta su un tablet che passa direttamente la comanda ai tre maestri dietro il bancone. Ci sono varietà diverse di pesce, quello sì, oltre al salmone e al tonno a noi ben noti, dall’anguilla a un pesce bianco che non ho saputo identificare, fino al calamaro. Anche il nostro modo di mangiarlo è corretto, ho subito chiesto alla nostra amica locale la procedura giusta, ed è la stessa nostra: il wasabi, se piace, può essere sciolto nella ciotola insieme alla soia, oppure applicato direttamente sul pesce. Sarebbe meglio bagnare poi nell’intingolo solo la parte con il pesce ma anche per i giapponesi questo non è sempre semplice, così si adattano a bagnare il riso senza che questo suoni sacrilego.
Ovviamente questo vale per i giapponesi “normali”, che giustamente sono piuttosto sportivi sull’argomento. Non concorderebbe affatto il mitico Jiro Ono, che purtroppo non potrò andare a visitare come mi sarebbe piaciuto fare, soprattutto perché credo serva una prenotazione a scadenza almeno semestrale; ma se mai dovessi tornare da queste parti ci riproverò. Ono ha i suoi punti irrinunciabili sul modo di mangiare il sushi, e mescolare soia e wasabi non ne fa parte. Qui se volete saperne di più.
Tra qualche ora commenterò la mia prima finale olimpica, Usa-Brasile di pallavolo femminile. Sognavamo un appuntamento con la storia e con le nostre ragazze, è andata male ma ci riproveremo. Sarà comunque molto bello aggiungere questa esperienza. Dopo, ancora due passi in città (tifone permettendo, è annunciato un altro passaggio) e sarà tempo di chiudere la valigia, partenza lunedì mattina e arrivo in tarda serata, recuperando il fuso orario perduto all’andata. Recuperare i bioritmi normali sarà un pochino più difficile, ma bisogna fare in fretta perché dopo una decina di giorni si riparte. Croazia e Serbia, gli Europei. Fanculo Covid, che bella estate.